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mercoledì 23 novembre 2011

Postilla chorea




Spesso si torna sul problema della ricostruzione delle coreografie antiche e della loro riproposizione attraverso l’uso del costume: e non di rado si giunge alla soluzione ( mentalmente moderna ) che il puro movimento che sta alla base dello stile possa esser valido anche al di là del costume stesso , visto che il corpo sarebbe in grado di riconoscere comunque un linguaggio pur desueto, accomunandosi in perpetuo con i passati corpi. Ciò potrebbe esser vero se si mancasse di considerare che l’abito antico ( non chiamiamolo dunque costume ) ERA corpo: il corpo vero dei nostri antenati lo scopriamo assai differente quando ci giunge nella crudezza nuda della morte. Questo bellissimo studio sulle salme della famiglia De Medici ci rivela quello che non vogliamo considerare quando pensiamo al corpo antico: la sua estrema difformità dai nostri modelli e la sua desolante “deformità”. Queste atroci magagne eran non semplicemente nascoste ma eran rieducate e rimodulate dall’abito che diveniva ponte verso un ideale di perfezione di volumi, altrimenti negato dalla caducità del fisico reale e rendeva accettabile testimoniare il proprio “io” pubblico non solo nel movimento ma financo nella staticità. Andate a vedere lo scheletro che reggeva il corpo di Cristina di Lorena…si , proprio Lei, quella a cui Caroso dedica Laura Suave…
http://www.paleopatologia.it/attivita/pagina.php?recordID=6
Sopra: ritratto di Cristina di Lorena. Da Scipione Pulzone

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