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venerdì 17 febbraio 2012

Debiti d'onore




Tempo addietro Maria Cristina mi donò “L'arte di gestire con le mani” del gesuita Vincenzo Requeno: costui, sul finire del '700, intendeva riproporre ai danzatori della sua contemporaneità la riscoperta e l'utilizzo della prassi narrativa che ( a suo dire ) i danzatori greci e romani mettevano in atto tramite la gestualità mutuata dalla computazione numerica. Il libro è facilmente rintracciabile on-line ma risulta privo , ovviamente, del fondamentale apparato critico che invece Giovanni R. Ricci formula per l'edizione della Sellerio. Infatti, tra i suoi molteplici spunti, ve ne sono alcuni che s'adattano anche alla lettura dei testi del nostro periodo di riferimento. Quella su di un passo di Plutarco ( p. 16 ) risulta particolarmente interessante: “I movimenti li chiamano passi, chiamano figure le posizioni e gli stati nei quali terminano i movimenti...la figura imita la forma e l'idea...” Se noi ora facciamo mente locale alla “delusione” visiva che procurano le “figure” dei trattati di Caroso e Negri potremmo semplicemente scoprire, per l'ennesima volta, che siamo noi a voler appiattire sulle nostre modalità di lettura codici che facevano probabilmente riferimento ancora a schemi mentali assai antichi. La visione di personaggi statici ( ripresi in questo caso prima del movimento , prima dei Passi ) in un trattato che è dedicato al movimento assume dunque un'altro , insospettabile aspetto: sarà un caso che quando la rappresentazione dei passi prenderà il sopravvento su quella dell'imitazione della forma ( ad esempio con la notazione Feuillet nei trattati barocchi ) la Figura, intesa anche come rappresentazione dell'umano,tenderà a sparire ?

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